sabato 7 settembre 2013

Situazione Platani sul lungotevere romano

Come potete immaginare non è delle migliori. Seppur all'apparenza risultino maestosi e vigorosi, probabilmente se avessero il dono della parola quantificherebbero in scala 1-10 la loro qualità della vita intorno al 4. Sono abbastanza generoso nell'interpretare il loro livello di soddisfazione perchè per lo meno vengono potati molto di rado, lasciando fare alla natura il suo corso, ed hanno un buon livello di umidità, areazione e luce sul lato fiume, verso cui si prostrano quasi disperatamente. Qui di seguito un esempio per darvi un'idea:


I Platanus orientalis che hanno piantato nello scorso secolo, ad oggi enormi, purtroppo vivono in condizioni pedologiche pessime. La mancanza di conoscenza del funzionamento dei vegetali è indubbiamente tra le maggiori cause per cui oggi assistiamo a tale macabro spettacolo, ma spesso ho avuto modo di verificare che anche con impianti "moderni" la situazione è cambiata di pochissimo. Se le amministrazioni delegassero la gestione del verde pubblico solo ed esclusivamente a dottori agronomi, figura fantasma nel panorama italiano, il verde pubblico romano (ma anche nazionale) potrebbe per lo meno adeguarsi allo standard qualitativo di quello delle capitali europee. A causa dei madornali errori che vengono spesso commessi dalle amministrazioni in ambito verde, i famosi comitati di quartiere sono perennemente in opposizione con le scelte del Sevizio Giardini. Quelle poche volte che le perizie sono serie e documentate da chi di dovere, vengono comunque ostacolate, con la (se pur in parte giustificata) presunzione di chi pensa di essere sempre dalla parte del giusto. Non è raro che in Italia spesso si assista a schianti di alberature precedentemente dichiarate come pericolose e quindi da abbattere, a causa di opposizioni da parte dei comitati di quartiere. I lettori ne converranno che l'improvvisazione e la tendenza al risparmio o a gare pilotate (o spesso del tutto assenti) non fanno altro che dequalificare in modo irreversibile gli agronomi, i quali perdono totalmente di autorità nelle loro decisioni. Il cittadino si sente un pò il difensore, il paladino del mondo vegetale, e così portatore di verità assoluta. Ma sarebbe opportuno riconoscere quando mettersi da parte, per poter far lavorare chi effettivamente ne capisce qualcosa. Una maggiore trasparenza da parte delle amministrazioni, con nomi e qualifiche di chi sta dirigendo i lavori, e perizie documentate, indubbiamente potrebbe agevolare notevolmente i problemi legati all'ostruzionismo dei cittadini. Ma si sa, la trasparenza è collegata alla legalità, e se manca uno manca pure l'altro.
Tornando alle condizioni delle alberature capitoline, qui di seguito uno scorcio del Lungotevere Arnaldo da Brescia:



In condizioni ideali un albero sviluppa un apparato radicale che spesso supera l'ampiezza della chioma. Le radici tendenzialmente non vanno in profondità ma si sviluppano orizzontalmente attestandosi intorno ai 30-50 cm dal suolo. Questo perchè più superficialmente la pianta tramite le radici assorbenti può attingere facilmente a due elementi essenziali come l'acqua e l'aria. Le radici legnose invece svolgono la funzione di ancoraggio arrivando ad uno o due metri di profondità, a seconda della specie e delle condizioni del terreno. Provate anche solo ad immaginare le dimensioni delle zolle in un suolo totalmente asfittico e compattato a causa delle colate di cemento e asfalto e con il passaggio negli anni di milioni di automezzi. E' importante sottolineare che solo un apparato radicale ben sviluppato in un ambiente non asfittico può aiutare la pianta a sostenersi sotto carichi non previsti. Da un lato ha si e no un metro di margine per svilupparsi, quando la chioma per lo meno sporge per altri 5 metri nel vuoto, e dall'altro ha il manto stradale che preclude quasi totalmente ogni naturale scambio tra suolo e atmosfera. Solo una piccola percentuale di aria e di acqua filtra attraverso l'asfalto, portandosi con se una buona dose di sostanze tossiche.
Qui di seguito vi mostro qualche immagine in dettaglio del colletto (che si nota anche nelle foto precedenti), parte finale del fusto e confine con l'apparato radicale:



Come potete notare c'è stato un nuovo intervento di manutenzione del marciapiede e la ditta che ha applicato l'asfalto, rattoppando alla come capita in pieno stile romano, ha ben pensato di arrivare a "pelo" del fusto, coprendolo anche in parte. Ovviamente, quando invece dovrebbe essere la norma per legge, nessun agronomo ha presieduto l'operazione.
Di solito viene lasciato un piccolo perimetro intorno al fusto degli alberi che per lo meno evita risultati come questi ma in fin dei conti per la pianta non apporta alcun beneficio tangibile. I peli radicali posti sulle radici assorbenti svolgono la propria funzione nelle zone periferiche e non adiacenti al tronco, dove si trova la corona radicale. Una corretta gestione del verde urbano dovrebbe prevedere un perimetro libero per lo meno grande quanto il presunto sviluppo massimo della chioma di un albero. Tramite appositi materiali o griglie è anche possibile renderlo calpestabile, soluzione adottata molto spesso nelle città dove gli spazi sono ridotti. Qui non ci si pone neanche il problema.
Il colletto mai e poi mai deve essere coperto in quanto all'estremità vi sono cellule che regolano lo scambio gassoso tra la pianta e l'esterno, e tessuti protettivi che non fanno entrare funghi e respingono parassiti. In fase di trapianto se si va a sotterrare il colletto, la pianta tenta disperatamente di trasformare quel legno in tessuto radicale, adoperando un gran quantitativo di energia di riserva che spesso la porta alla morte. Se una pianta è già stanziale da tempo e si va coprire la parte basale del fusto (anche con semplici materiali pacciamanti) spesso si formano i cosidetti marciumi del colletto, anch'essi causa di deperimento e poi morte dell'albero. Io stesso, quando ero capo giardiniere presso un'importante villa in Toscana, ho visto morire nell'arco di un mese un olivo per un nostro errore: in seguito ad un enorme scarico di compost maturo a ridosso della pianta, non abbiamo prontamente rimosso il materiale dal colletto dando priorità ad altre mansioni, scelta che si è dimostrata fatale per l'albero in tempi brevissimi. (S)Fortunatamente la pianta verteva già in condizioni agronomiche pessime a causa del terreno e del trapianto alquanto discutibile, e non è stata una grande perdita.
Garantire per lo meno 3-4 mq di perimetro libero intorno al colletto faciliterebbe operazioni di ispezione dell'apparato radicale da parte di personale qualificato. A volte la parte aerea della pianta non basta ai fini del VTA (valutazione di stabilità dell'albero) o per capire i motivi di eventuale deperimento, causati da funghi o parassiti. Un particolare macchinario chiamato Air Spade tramite un forte getto di aria compressa isola le radici prossime alla pianta dalla terra, per verificarne lo stato fitosanitario e strutturale. Vi immaginate compiere una tale operazione nelle condizioni qui sopra illustrate? Andrebbe rimosso completamente tutto l'asfalto adiacente alla pianta con irrimediabile danneggiamento dell'apparato radicale.
Per altro, è solito usare dei pali iniettori con cui mandare concimi, micorrize (funghi simbionti che aiutano lo scambio di nutrienti con l'apparato radicale) o persino antiparassitari o anticrittogamici direttamente alle radici, in quegli alberi troppo grandi che annullano l'efficacia di operazioni manuali. Altra operazione totalmente non consentita (se mai è stata presa in considerazione dalle amministrazioni capitoline).
Ora vi starete chiedendo come nonostante la qualità della vita paragonabile a quella di un abitante del quarto mondo queste piante risultino comunque belle e apparentemente sane. Gli esseri vegetali sono silenti come ho accennato precedentemente http://ilverdecapitolino.blogspot.it/2013/07/le-piante-genitori-senzienti.html, ma si esprimono con un linguaggio che per essere capito va studiato ed interpretato tramite la scienza. Hanno il "brutto" vizio di adattarsi a condizioni pessime e nutrire però allo stesso tempo un rancore che inevitabilmente le porterà prima o poi al deperimento o peggio ancora allo schianto improvviso. Uno degli obiettivi di questo blog è di educarvi a capirle meglio.
Alzando lo sguardo non ho potuto non notare il posizionamento di alcune tra le branche che si affacciano sull'antico Tevere:


L'elevato grado di trascuratezza che include anche la potatura ovviamente porta a fenomeni di questo tipo. Nei miei 26 anni di vita non ricordo interventi consistenti di potatura sul lungotevere che sicuramente risalgono a parecchio tempo fa. Interventi che su alberi così grandi probabilmente non vanno mai oltre la dannosissima ma economica (solo nel breve periodo) capitozzatura. Ho visionato difatti delle carie (aperture con conseguente inoculo fungino) in prossimità di importanti (ed inutili) tagli che indubbiamente portano le piante ad uno stato di precarietà che con i miei mezzi non posso quantificare (necessiterebbe perizia con resistograph).
Una branca cresciuta in questo modo è indubbiamente fonte di pericolo visti i pesanti cambiamenti climatici degli ultimi anni (neve e nubifragi), tanto che anche un bambino fiuterebe la minaccia. Ma alberature letteralmente lasciate a se stesse in un ambiente urbano porteranno inevitabilmente col tempo fattori di rischio non trascurabili come questi.
E' importante cominciare a non far più finta di nulla difronte a queste immagini, nella totale ignoranza che spesso ci contraddistingue. La quasi totalità del verde pubblico romano è in queste disumane condizioni. Se ci fate caso lo scarsissimo rispetto che noi nutriamo verso il mondo vegetale si rispecchia anche nella vita quotidiana con il prossimo e con la legge. Non è assolutamente un caso, dal mio modesto punto di vista, che in paesi dove la parola rispetto ha una certa autorevolezza anche le piante ne giovino vistosamente.

1 commento:

  1. Sono totalmente d'accordo, ottima analisi.
    Daniele Ajmone Marsan, agronomo.

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